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Recruiting del futuro: Intervista a Sensei

Grazie per il tempo che dedicherai a rispondere alle nostre domande. Siamo nell’era delle New Ways of Working nella quale la recente pandemia ha cambiato totalmente le dinamiche del lavoro e il suo significato. Siamo passati da una logica di business oriented a experience oriented e human centered. Pertanto, le organizzazioni, a tutti i livelli, stanno lavorando per ridisegnare i processi sempre più a misura di persona.

Intervista a Beatrice D’Amelio – People & Culture Manager di Sensei Srl

In che settore opera la vostra azienda e qual è la competenza core su cui ruota il vostro business?

Siamo una società ITC, i nostri servizi core ruotano attorno allo sviluppo software.

In questa fase di cambiamento epocale, come vi state muovendo in tema di Employer Branding?

La risposta sarebbe molto articolata, in ogni caso abbiamo intrapreso un percorso lungo e duraturo con una persona che si occupa di marketing. La strategia è quella di far si che le stesse persone che oggi sono in azienda siano “ambasciatori” di valori e principi di Sensei.

Che tipo di metodologia utilizzate durante il processo di recruiting?

Il processo di recruiting parte dall’aspetto fondamentale: la valutazione delle soft skill da parte delle persone di P&C, per valutare l’aderenza della persona a valori e principi, poi si prosegue con un colloquio tecnico per la valutazione delle hard skills ed in ultimo un collooquio con il CEO per vagliare le aspettative di crescita e l’aderenza di queste alla direzione e alla crescita aziendale.

Di quante tappe si compone la vostra candidate journey?

Come nella risposta precedente, di 3 colloqui.

Nella vostra strategia di Talent Acquisition, qual è la peculiarità che ricercate immediatamente in un candidato?

La cosa fondamentale è l’aderenza a quelli che per Sensei sono i valori fondanti: trasparenza, onestà, responsabilità, gioco di squadra.

Simon Sinek ha detto: dovresti assumere persone per la loro attitude non per le competenze. Queste le puoi sempre insegnare, l’attitude no. Se potessi immaginare qualcosa di totalmente nuovo nel mondo del recruiting e che fosse di aiuto per te, cosa sarebbe?

Al netto del fatto che questa frase di Sinek è la base su cui basiamo attualmente le nostre selezioni, credo che quello che attualmente sarebbe utile è conoscere “Il tipo di linguaggio e di comunicazione” che i possibili candidati reputano attraenti.

Secondo te, in un’organizzazione quanto impattano a livello economico le attività di recruiting?

La domanda da farsi, in questo caso è opposta: quanto costerebbe ad un’azienda non avere un processo di recruiting che valuti in maniera approfondita sia le skills tecniche che quelle umane? Quanto costa assumere persone “sbagliate” per quell’azienda? In quest’ottica, si comprende che qualunque sia il costo del recruiting – se questo funziona – diventa funzionale e propedeutico ad un benessere aziendale (anche economico).

Non solo New Ways of working, ultimamente si parla anche di HR Designer come quel professionista che disegna percorsi sartoriali per le persone. In ottica di recruiting qual è secondo te quell’ingrediente che potrebbe far la differenza per un candidato durante il suo journey?

Questa domanda richiederebbe una lunga risposta, tuttavia sintetizzabile in: ogni persona è unica e come tale va trattata. Sono le persone di People & Culture (scusate ma l’acronimo HR è proprio l’antitesi di quel che penso di questa figura) che sono investite di questo delicato compito, quello di comprendere quali sono i talenti da “innaffiare” e far fiorire, in ciascuna persona.

Tshare come soluzione di recruiting circolare nell’open innovation

Tsharemetti in circolo i tuoi talenti è il sistema di recruiting circolare ideato e sviluppato da Homo Talent per rispondere al problema sempre più urgente del Mismatching tra domanda e offerta nel mercato del lavoro.

Che cos’è il recruiting circolare?

È un sistema di acquisizione talenti multicanale che prevede un ciclo continuo di approvvigionamento grazie alla costruzione di una rete di imprese che condividono risorse in un’ottica di fiducia e open innovation.

Il recruiting a cui siamo abituati (top-down) è basato sulla tradizionale offerta di lavoro di aziende che cercano personale qualificato per soddisfare le loro esigenze di produttività relative all’aumento del giro d’affari che necessita di forza lavoro per poter essere concretizzato. In un contesto di mercato relativamente stabile e prevedibile, tipico della seconda metà del secolo scorso e basato sulla closed innovation, era possibile pianificare il fabbisogno di risorse umane nel medio-lungo periodo con un certo grado di certezza. Che succede, d’altro canto, se le conoscenze e i talenti cominciano a viaggiare ad una velocità sempre maggiore per via delle reti e dei nuovi modelli disruptive? In poche parole, che succede nella pratica di gestione dei talenti nel passaggio dalla closed innovation all’open innovation in cui il contesto di mercato diventa turbolento e incerto?

(Fonte: EconomyUP, 2017)

Nel solco della transizione da un paradigma all’altro emerge il fenomeno del (digital) mismatching in quanto le imprese, nel tentativo di cavalcare il cambiamento per posizionarsi sul mercato, esprimono esigenze sempre più verticali e stratificate che surclassano i ritmi e le competenze possedute dalle persone che non riescono a stare al passo. Con il risultato di provocare disorientamento da una parte, e scarsità di competenze da cui attingere dall’altra. I motivi sono riconducibili a due fattori principali:

  • Metodo di recruiting tradizionale (top-down)
  • Mancanza di servizi innovativi di orientamento alla carriera

Il recruiting di stampo tradizionale risulta inadeguato a far fronte agli scenari dell’open innovation in quanto risulta svantaggioso e dispendioso per le imprese da un punto di vista di tempi, di costi e di processi da sostenere. Il tempo di assunzione medio varia dai 10 ai 35 giorni secondo uno studio del capo economista di GlassDoor, il Dr. Andrew Chamberlain. Che succede se dopo aver assunto la risorsa ed aver sostenuto i costi della selezione, improvvisamente, questa decide di andarsene? Magari per accettare offerte meno vantaggiose da un punto di vista economico ma più stimolanti dal punto di vista culturale. Quant’è il costo emotivo per un’azienda che si trova in questa situazione sempre più frequente? Quello che la Great Resignation (le grandi dimissioni volontarie) ci sta insegnando è che le persone, dopo l’esperienza della pandemia, hanno ri-scoperto la voglia di inseguire più i loro sogni e le loro vocazioni che posti di lavoro rassicuranti. Che preferiscono puntare su ambienti di lavoro stimolanti in cui possano cimentarsi in nuove sfide di apprendimento e crescita. Preferibilmente in team eterogenei con obiettivi condivisi.

La mancanza di servizi innovativi di orientamento è l’altra grande causa del mismatching tra talenti e imprese nel nuovo mercato del lavoro. Una vasta offerta formativa nell’ambito digitale, seppur di qualità, non è sufficiente a far incontrare domanda e offerta di lavoro. O perlomeno non è sostenibile ed efficace in un orizzonte temporale di medio-termine. Può “tappare i buchi” nel breve termine, ma risulterà del tutto inadeguata a risolvere problemi di natura complessa come quelli a cui l’open innovation ci sta abituando. Per soddisfare livelli accettabili di employability lungo tutto il corso della carriera, è necessario investire su un mindset (mentalità) che solo un approccio sulle attitudini personali è in grado di fare. Supportato da servizi innovativi di orientamento che non si basano solo sul bagaglio di competenze possedute, bensì sul potenziale inespresso in divenire che possa trovare sbocco.

Il progetto Tshare nasce proprio con l’obiettivo di portare il recruiting nell’era dell’open innovation e risolvere i problemi suddetti.

Tshare consente alle imprese di aprire i propri confini e condividere i talenti con altre imprese per risolvere problemi comuni con strategie nuove.

Il sistema Tshare si basa sul gemellaggio tra imprese simili (Es. startup-startup) che stringono amicizia e si scambiano talenti in un circuito di fiducia, dinamico nei processi e a ciclo continuo. Ogni impresa ha la possibilità di crearsi un proprio Talent Pool in cui far confluire candidati in fase di selezione, ex collaboratori o potenziali tali e scambiare profili professionali (talent card) in base alle esigenze del momento. Il tutto riducendo drasticamente i costi di selezione e condividendo i rischi e le opportunità con le imprese gemellate. La piattaforma è regolata dall’algoritmo di Homo Talent che misura la compatibilità tra le attitudini personali del candidato con le professioni digitali. In tal senso, vuole fornire un supporto ai processi decisionali sia dei candidati sia delle imprese nel fare la scelta più sostenibile in linea con le vocazioni personali e con la carriera professionale.

Dalla guerra dei talenti al talent sharing

Marzo 2022.

A due anni esatti dall’inizio della pandemia e del lockdown molto è cambiato nelle nostre vite. Nel giro di pochi mesi abbiamo trasformato non solo le nostre abitudini quotidiane, bensì il modo di concepirle. Abbiamo, in sostanza, rievocato il significato stesso della nostra vita per via dell’emergenza socio-sanitaria. “Si vive una volta sola” è il detto che esprime il sentimento sempre più diffuso tra i più giovani, ma non solo. La Yolo Economy, dall’acronimo (You-only-live-once) è ormai diventata una corrente di pensiero e uno stile di vita sempre più diffuso tra i giovani Millennial. Il termine Yolo è diventato virale grazie alla canzone del rapper canadese Drake «You Only Live Once» ed è stato ripreso da Kevin Roose – esperto d’innovazione e di trend tecnologici – per teorizzare la Yolo Economy in un articolo pubblicato nella primavera 2021 sul New York Times.

Ma quali sono i punti cardine di questa nuova tendenza che avrà e sta già avendo un impatto trasformativo sul mondo del lavoro?

  • orari flessibili;
  • lavorare per obiettivi sfidanti e stimolanti;
  • ambienti di lavoro meno tradizionali;
  • un lavoro in linea con le proprie attitudini
  • miglior bilanciamento tra vita privata/professionale.

Viene da sé che questo nuovo stile di vita e di pensiero avrà un impatto molto forte sul modo in cui le aziende predisporranno strategie di talent acquisition e il modo di fare recruiting negli anni prossimi venturi.

Nonostante le tendenze economico-sociali e manageriali a livello globale stiano delineando scenari che dischiudono a nuovi approcci e a nuove visioni sul mondo del lavoro, sussistono ancora dubbi e resistenze, seppur lecite, su quale sia la strada da percorrere per assicurare benessere e prosperità alle imprese, ai lavoratori, alle famiglie e all’ecosistema in generale. Basti pensare alla “Great Resignation” così come è stato ribattezzato negli USA il fenomeno delle grandi dimissioni di massa che ha coinvolto circa 4,3 milioni di americani (Fonte: Studio McKinsey, 2021) che hanno lasciato volontariamente il lavoro. In Italia sono 484mila le dimissioni volontarie dei lavoratori nel periodo tra aprile e giugno 2021. Lo studio ha rilevato, inoltre, che il 36% di chi si è licenziato non aveva ancora in mano un nuovo lavoro. Questo dato rispecchia una tendenza del tutto nuova che rischia di travolgere le aziende impreparate alle prese con la pianificazione del business e delle carriere.

Guerra dei talenti o talent sharing?

La guerra dei talenti (War for talent) è un’espressione eloquente coniata nel 1997 da tre consulenti della società di consulenza McKinsey: Ed Michaels, Helen Handfield-Jones e Beh Axelrod. Nelle loro intenzioni stava ad indicare il fenomeno di competizione agguerrita tra le imprese intente ad arruolare e trattenere quei talenti in grado di assicurare un vantaggio competitivo alle aziende che li assumono.

Ma siamo sicuri che sia ancora sostenibile perseguire il modello della “Guerra dei talenti” per accaparrarsi i “migliori” sulla piazza al fine di garantirsi in questo modo i cosiddetti margini di competitività? Quello a cui stiamo assistendo è una rivoluzione del paradigma stesso dell’economia e del lavoro che mette al centro la persona ed il suo stile di vita. È una rivoluzione, dal basso, delle abitudini quotidiane. È una rivoluzione della concezione stessa del ruolo che il lavoro assume nelle nostre vite. Non più e non solo come mezzo di sussistenza, bensì come strumento per realizzare le nostre aspettative e per esprimere le nostre vocazioni. Il lavoro alla prova del futuro dovrà essere ripensato per essere funzionale al talento, e non viceversa. Le imprese, dal canto loro, dovranno creare ambienti di lavoro e formulare scopi sempre più idonei a cavalcare questa rivoluzione in atto all’insegna della realizzazione delle istanze personali. Le persone saranno sempre più orientate a scegliere ambienti di lavoro dove potersi rispecchiare nei valori, apprendere continuamente nuove competenze ed intraprendere nuove sfide. Al di là dell’inquadramento contrattuale. Alla luce di tutti i bisogni emergenti e delle nuove tendenze in divenire, è necessario rifondare la concezione del mondo del lavoro affinché diventi un ambiente stimolante, dinamico e semplice in cui operare. Rimuovere gli ostacoli che impediscono ai talenti e alle imprese d’incontrarsi in base a un scopo condiviso, forte e con una buona dose d’impatto sociale.

La domanda “Guerra dei talenti o Talent Sharing?” si riallaccia ad altre domande correlate che rientrano, coerentemente, nello stesso dilemma: Closed Innovation od Open Innovation? Competizione o Cooperazione? Sono tutte facce della stessa medaglia. Si tratta, infatti, di un approccio sistemico che contempera più aspetti che s’intersecano l’uno con l’altro. Questi sono i problemi che attagliano gran parte delle imprese (non solo) italiane alle prese con il cosiddetto “new normal”.

Che cos’è il talent sharing?

Il Talent Sharing è quella pratica di talent acquisition in cui due o più aziende di un ecosistema stringono un gemellaggio (alleanza strategica) in modo da ridurre i tempi, i costi e facilitare il matching di profili professionali necessari a far prosperare il business e generare impatto sulla società.

Il talent sharing è la naturale evoluzione del paradigma della Sharing Economy applicato ai processi di recruiting e di talent acquisition. Ovvero, il recruiting che abbraccia l’open innovation come modalità di collaborazione tra stakeholder in un ecosistema aperto che attenua la competizione a favore della cooperazione.

Esiste il car sharing, il bike sharing, l’home sharing, il data sharing, etc.

E il talent sharing, perché no?